Quanto influiscono i falsi ricordi nelle testimonianze dirette dei fenomeni anomali?
a cura di Daniele Ross (Mentalista - Team P.A.R.I. / Progetto S.E.R.P.)
"La memoria può cambiare la forma di una stanza, il colore di una macchina. I ricordi possono essere distorti; sono una nostra interpretazione, non sono la realtà; sono irrilevanti rispetto ai fatti."
(Dal film “Memento”)
Ognuno di noi ha sperimentato innumerevoli volte la difficoltà che si incontra, in un gruppo, nel trovare accordo sulla ricostruzione di un evento passato. Spesso la diatriba non riguarda solo aspetti marginali, bensì elementi chiave di tutta la vicenda.
Il neurologo Oliver Sacks racconta di quando si cimentò nella stesura di un’autobiografia. In essa descrisse, nei minimi particolari, un evento della sua infanzia che in seguito scoprì non aver mai vissuto. Il tutto era unicamente il frutto di un racconto del fratello maggiore. Per quanto si sforzasse, Sacks non riusciva a notare alcuna differenza qualitativa tra quel ricordo di cui si era appropriato e uno invece originale. Stessa cosa per quanto riguarda il racconto dello psicologo infantile Jean Piaget, che in età adulta realizzò non essere mai stato esposto a un tentativo di rapimento ancora vivido nella sua mente.
Situazioni simili suscitano profondi interrogativi di natura pratica, non solo filosofica. Si pensi ad esempio alle testimonianze oculari. Elisabeth Loftus svolse una Ricerca in cui a un gruppo di volontari furono mostrate alcune fotografie di una macchina che aveva subito un incidente dopo essersi fermata a uno stop. A metà delle persone chiese: “Cosa è successo all’auto dopo essersi fermata allo stop?”, all’altra metà: “Cosa è successo all’auto dopo essersi fermata al segnale di precedenza?”. Mezz’ora dopo chiese a ognuno dei partecipanti se l’auto si fosse fermata a uno stop o a un segnale di precedenza. Quelli a cui era stata posta la domanda in maniera sviante ricordavano che l’auto si era fermata al segnale di precedenza. Il suggerimento orale aveva soppiantato la memoria visiva.
Risulta evidente come la questione tocchi da vicino le testimonianze dirette di tutti coloro che hanno assistito a un presunto fenomeno anomalo. Spesso, se il testimone risulta essere in buona fede, non mettiamo in dubbio la veridicità di quanto afferma, poiché “è stato visto con i suoi occhi”. Tuttavia, la nostra memoria è più simile a una ricostruzione che a una registrazione e sono numerosi fattori in gioco, in particolar modo il linguaggio che usiamo per descrivere ciò che è successo e le nostre esperienze e credenze, che creano una sorta di filtro interpretativo. Ciò risulta essere vero non solo per la prima versione del racconto, ma per tutte le innumerevoli volte che verrà richiamato alla memoria, perpetrando così un perverso meccanismo di alterazione continua.
Il meccanismo di creazione dei falsi ricordi è senz’altro noto nell’ambito del mentalismo. In questa particolare forma di illusionismo viene adoperato un sapiente uso del linguaggio che induce lo spettatore a vivere un esperienza “distorta”; con due vantaggi: da un lato la possibilità di realizzare effetti davvero sorprendenti, dall’altro, tagliando il filo di Arianna dipanato dalla memoria, rendere irricostruibile la tecnica usata durante la performance. Si deve a queste tecniche, molto probabilmente, il mito che ruota attorno a diversi “Sensitivi” passati alla storia.
Non è, insomma, affatto facile distinguere un vero ricordo o un’idea originale da ricordi e idee che ci sono stati insinuati nella mente o che sono stati alterati. Non esistendo nel nostro cervello un meccanismo che garantisca la veridicità dei nostri ricordi, ne consegue che spesso la nostra unica verità è quella narrativa. Sono le numerose storie che trasmettiamo, riceviamo e rielaboriamo in maniera estremamente personale, momento dopo momento, che rappresentano la nostra verità storica.
Chi si occupa di “Ricerca Paranormale” dovrebbe pertanto pesare con estrema cautela le testimonianze che vengono fornite. Possibilmente cercarando di incrociare più resoconti possibili, al fine di individuare gli elementi oggettivi della vicenda. Spesso, in seguito a una segnalazione, si parte dall’analisi pratica degli elementi, senza considerare che il punto di partenza dovrebbe essere, invece, l’analisi del racconto stesso. È solo individuando gli elementi determinanti, spesso celati, che la Ricerca può procedere agevolmente e senza finire in un vicolo cieco.